La mossa della destra per permettere agli antiabortisti di entrare in ospedali e consultori in Piemonte
Ripescato un documento della giunta Cota, vecchio di undici anni, poi bocciato dal Tar. Di nuovo protagonista Maurizio Marrone l’assessore di Fratelli d’Italia, vicino agli anti-choice, noto per una delibera contro la RU486. Le associazioni femministe annunciano battaglia
La destra ci riprova e senza neanche cambiare tattica. Undici anni dopo il tentativo della Giunta di Roberto Cota di far entrare nei consultori e negli ospedali gli antiabortisti, ci tenta nuovamente un’altra giunta verde, su questi temi appoggiata da Fratelli d’Italia.
È ormai una battaglia aperta quella che si combatte in Piemonte contro le donne: l’unico scopo è quello di fare entrare i Movimenti per la Vita negli ospedali, finanziarli, dar loro parola sulla scelta delle donne. I capofila di questo piano sono due assessori Maurizio Marrone (FdI), alla semplificazione legislativa, già noto una delibera contro le linee di indirizzo contro la RU486, e Chiara Caucino (Lega), titolare del Welfare.
Hanno ripescato un documento approvato il 15 ottobre 2010 dalla giunta di Cota, poi bocciato dal Tar, riproponendolo identico. Si chiama “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale della donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza”, indirizzato a organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale. Ma ecco il requisito incriminato per partecipare: “Presenza nello statuto della finalità di tutela della vita fin dal concepimento e/o di attività specifiche che riguardino il sostegno alla maternità e alla tutela del neonato”. Un chiaro invito per le associazioni antiabortiste.
All’epoca solo grazie all’azione legale della Casa delle Donne di Torino, si potè bloccare il protocollo. «Impugnammo la delibera regionale che approvava il testo, perché per noi era chiaro chi avesse interesse a introdursi nei consultori per dissuadere la volontà delle donne, Già esistono gli operatori per l’ascolto, psicologi e medici. — racconta Mirella Caffaratti, l’avvocata che seguì il ricorso per la Casa delle Donne — Vincemmo perché il Tar stabilì che questo “requisito non aveva alcun senso con le finalità della 194, ma che era irragionevolmente discriminatorio”; questo perché la Casa delle Donne, o altre associazioni, non potevano partecipare per via di una richiesta puramente ideologica e non tecnica o professionale».
La sentenza arrivò a luglio 2011, ma a ottobre dello stesso anno, ricorda Caffaratti, fu pubblicato un secondo protocollo, che allargò leggermente le maglie della partecipazione (mantenendo però il requisito sulla tutela della vita) e adattandosi così alle richieste del Tar. Da allora, e con la giunta Chiamparino, queste pagine hanno riposato indisturbate, per tornare oggi alla ribalta con lo stesso intento: convenzionare gli anti-choice con le Asl regionali. Ora questo documento passa come determina dirigenziale e non atto politico, quindi non è detto che si possa impugnare come accadde oltre dieci anni fa. Anche perché il Tar si è già espresso a riguardo.
«Noi all’epoca tentammo comunque un secondo ricorso, ma il Tar se ne lavò le mani dicendo che potevamo partecipare e non avevamo più interessi. Con noi in quell’occasione anche tre giovani donne fecero lo stesso, ma furono respinte non essendo né madri, né gravide. Una considerazione peregrina perché ogni donna può non voler avere a che fare con i movimenti per la vita quando si reca in ospedale», conclude l’avvocata.
«Questi sono quelli che ogni settimana sostano davanti all’ospedale Sant’Anna di Torino, con croci, cartelli e feti pupazzo, che protestano mentre le donne stanno andando ad abortire, un integralismo che non vede limite, un continuo attacco all’autodeterminazione delle donne. E ora vogliono entrare nei consultori», racconta Carla Quaglino, responsabile della Casa delle Donne di Torino, che si fece carico con le altre attiviste del percorso giudiziario nel 2011.
Anche la sindaca di Torino Chiara Appendino ha voluto dire la sua con post su Facebook, provocando l’ira di Marrone che minaccia querela: «A meno di tre giorni dall’8 marzo, in Piemonte sembra riaffacciarsi il delirio oscurantista e ideologico dell’assessore Marrone. Se pensa di calpestare anni di lotte per i diritti delle donne probabilmente ha sbagliato Regione. Sicuramente ha sbagliato Città». L’assessore risponde: «Femministe, radicali e sinistrume vario non potranno comunque ricorrere al Tar, insomma abbiamo vinto. L’ideologia della morte non prevarrà».
I meccanismi degli antiabortisti sono noti: sfruttano i passaggi della legge 194 dove si dice che bisogna eliminare gli impedimenti economici e sociali all’aborto, proponendosi anche come alternativa economica, quando invece, come loro stessi proclamano dai loro siti e social, vogliono impedire in tutto e per tutto il ricorso alla pratica di interruzione di gravidanza. E infatti esultano: «Un prevenzione sia a favore della donna che spesso si sente costretta ad abortire per mancanza di aiuti, sia a favore del figlio già presente e visibile in una normale ecografia, ma sempre assente in un cieco e dannoso approccio ideologico», ha dichiarato Claudio Larocca, presidente Federazione Centri di Aiuto alla Vita e Movimenti per la Vita, Piemonte e Valle d’Aosta, appresa la notizia. «Aspettiamo da decenni questo momento — spiega alla Bussola Margherita Garrone di Federvita Piemonte — e finalmente ci verrà riconosciuto questo ruolo fondamentale di poter entrare nella dissuasione e di poter attuare quella parte che la legge 194».
Il Piemonte ha una forte tradizione di movimenti femministi, che promettono battaglia e piazza piene contro questo ennesimo attacco contro i loro diritti. Anche per questo è nata la rete +di194voci, 36 associazioni sul territorio: «La nostra vittoria fu un grosso precedente nella causa femminista, siamo riuscite ad entrare nel santuario impenetrabile del Tar — ricorda Quaglino — +di194voci l’abbiamo ideata per far barriera a chi vuole abbattere i nostri diritti, quel giorno è oggi e noi siamo pronte».