Molestie sul lavoro: la violenza taciuta

Rita Rapisardi
6 min readOct 12, 2023

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copertina l’Espresso “Sex and the spot” di Ivan Canu

Segue il mio intervento al XIII Congresso “Madri strappate” alla Camera dei deputati del 12 ottobre 2023, un’occasione per discutere e analizzare la violenza istituzionale subita dalle donne e dalle madri, nonché dai loro figli, all’interno dei tribunali del nostro paese.

“Denunciate”, è il ritornello che le donne si sentono dire di fronte alla violenza di genere che subiscono quotidianamente. Lo vediamo per le madri vittime di violenza istituzionale. Lo stesso succede per le molestie, sessuali, verbali, fisiche e psicologiche: “denunciate!”, dicono, sì, ma cosa? Nel nostro codice penale non esiste un reato di molestia sessuale (ma c’è chi l’ha proposto): o si applica quello di violenza sessuale, o viene derubricato a molestia o disturbo alle persone. C’è poi lo stalking e la diffamazione, ma sono reati pensati per altre fattispecie. Nella dottrina la definizione passata è quella per cui la “molestia è ogni attività che alteri dolorosamente o fastidiosamente l’equilibrio psico-fisico normale di una persona”.

Nel corso della mia inchiesta pubblicata di recente per l’Espresso, e riguardante nello specifico il mondo delle agenzie pubblicitarie, la quasi totalità delle storie descritte non è arrivata a denuncia — qualcosa, ma solo sul mobbing — poche sono state segnalate alle risorse umane (e senza risultati), la maggior erano nascoste, taciute, sofferte; altre riemergono con il passare del tempo, perché la consapevolezza non è immediata. Questo lo spiegano bene i centri antiviolenza che hanno a che fare con casi gravi di violenza domestica: la violenza spesso non è riconosciuta dalle donne, anzi è negata, per questo servono strumenti e insegnamenti anche il questo senso.

Secondo l’Istat l’80,9% delle vittime di molestie rimane in silenzio e non ne parla con nessuno, la cause del silenzio sono varie: il 28,4% non dà importanza all’accaduto, il 20,4% non ha fiducia nel sistema, il 15,1% ha paura di essere giudicato e il 9,3% ha il senso di colpa per avere in qualche modo contribuito all’accaduto. Questi dati ricalcano purtroppo i numeri del silenzio nei casi di violenza domestica.

Dall’altra parte, dal lato di chi commette e agisce la violenza, gli uomini: c’è talvolta una negazione del fenomeno, un non riconoscimento o semplicemente un ridimensionamento. Sull’onda del #metoo è stato acceso un faro sul problema, ma la risposta è stata il lamento di non essere liberi neanche di corteggiare o fare un complimento a una collega.

Eppure non solo il contatto fisico, molestia sono anche le «allusioni verbali e gestuali a sfondo sessuale», anche quando non comportano «effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale» o sono espresse in un «clima» cosiddetto «scherzoso e goliardico» per chi agisce la molestia, ovviamente. Frequenti sono le molestie con sms, invio di foto, messaggi vocali.

Al centro c’è sempre il corpo delle donne, anche sul lavoro, è sessualizzato, commentato, osservato, diventa un oggetto di conversazione, dando in parte per scontato che ci sia una gratificazione in chi riceve un apprezzamento estetico. Ma come sappiamo il piano è quello del potere e del controllo, è così ad ogni livello di violenza maschile contro le donne.

Nel caso delle molestie, come per i tanti casi di cui si parla oggi, c’è una sorta di violenza istituzionale ancor prima: perché non riconosce, non ammette, non definisce con nessuna legge un comportamento che le donne subiscono già molto difficile da dimostrare: tant’è che a chi prova a far emergere la molestia spesso viene consigliato un accordo tra parti. Il rischio è infatti quello di uno stallo per cui “la mia parola contro la tua”, dove spesso le “prove” a disposizione non sono considerate insufficienti.

C’è poi tantissima reticenza verso l’argomento: c’è chi, come la giudice del tribunale di Roma, Paola di Nicola Travaglini, ha collegato la violenza delle donne al fenomeno mafioso, parlando di normalizzazione, assuefazione e omertà. Tutte queste caratteristiche che ho potuto indagare nei mesi che hanno impiegato questa inchiesta e nei lavori di cui scrivo da anni, sono ben presenti.

La normalizzazione e il sottofondo di molestie verbali, le cosiddette “battutine”, riferimenti all’aspetto, inviti sessuali e molto altro, diventano pane quotidiano da cui è difficile staccarsi. Una normalità giornaliera che si insinua e può rendere la vita delle donne interessate drammatica: molte donne mi hanno detto di come cercavano di nascondersi agli occhi maschili, vestendosi larghe o truccandosi meno, curandosi meno per non attirare sguardi, stando in silenzio per passare inosservate.

Una difesa per le donne è anche quella di minimizzare e accettare, soprattutto quando è impossibile fare qualcosa. Perché quando tutto questo è tollerato o promulgato dai piani alti della gerarchia professionale reagire è impossibile. L’omertà poi è quella dei colleghi maschi che se pur non partecipano si fanno complici. Chi alza la testa rischia di perdere il lavoro, di subire mobbing, di essere demansionata o trasferita. Le donne che subiscono molestie non sanno come fronteggiare la situazione, non vogliono conflitti o ripercussioni.

Secondo un’indagine della Fondazione libellula — che si occupa di formazione nelle aziende — riferita al 2022 e che ha interpellato circa 5mila lavoratrici in tutta Italia, una donna su due ha detto di aver subito una forma di molestia, il 22% l’ha classificata come un avvenimento che accade “spesso”, il 36% “a volte”. Accanto a questo ci sono i dati che evidenziano trattamenti sul luogo di lavoro differenti tra i due sessi: promozioni che non arrivano, valorizzazione professionale dei maschi, modi di sminuire che vanno dal chiamare per nome e non per titolo o un generico “signorina” o l’essere interrotte di continuo, tutte cose che le intervistate sottolineano. Insieme alla questione maternità, che spesso determina uno stop nel percorso di crescita e carriera.

A giugno i deputati del Parlamento europeo hanno adottato una risoluzione dove si evidenzia sebbene sia stato fatto un passo avanti anche grazie al movimento del me too, in molti paesi Ue i progressi sono scarsi o nulli: per questo invita ad introdurre leggi apposite anche perché non esiste una definizione a livello europeo. Inserire un reato permette di soffermarsi su un fenomeno criminale e culturale, ma consente anche a chi lo subisce di riconoscersi come vittima di un reato.

Nella mozione il Parlamento europeo si autodenuncia sulla questione: i casi di molestie sessuali e psicologiche in Parlamento sono ancora poco denunciati, sottolineano i deputati, le vittime non utilizzano i canali esistenti per molteplici motivi. “Le procedure d’indagine relative ai presunti casi di molestie possono durare fino a due anni, causando danni non necessari alle vittime. I deputati accolgono con favore la formazione sulla prevenzione delle molestie, ma esprimono preoccupazione per il basso numero di deputati che hanno partecipato alla formazione finora, visto che solo il 36% di loro, ossia 260 su 705, l’ha portata a termine”, si legge.

L’appello poi è rivolto ai datori di lavoro perché adottino misure appropriate per garantire un ambiente di lavoro sicuro: le misure vanno dalle sanzioni disciplinari al licenziamento. Delle risorse umane realmente capaci di gestire le situazioni, che possano consigliare, indirizzare e aiutare chi vuole fare emergere casi di violenza e soprattutto nel rispetto della privacy e tutela di chi si sta esponendo. All’interno delle aziende ci sono lavoratrici e lavoratori che hanno ruoli particolari e sono i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e i delegati sindacali. Molte aziende affrontano il tema delle molestie sessuali attraverso con corsi di formazione, soprattutto le multinazionali, che è un modo per far passare la consapevolezza del problema, ma se manca tutto quello detto sopra, lontano non si va.

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